Viaggiando si impara: “ospitali si diventa”

Chi mi segue da tempo con Vivere di Turismo sa che per me viaggiare è una fonte di rigenerazione. È conoscenza, incontro, ascolto, crescita, scambio, cura delle relazioni e dei luoghi che esploro.

Vado alla continua ricerca di storie da cui apprendere e farmi ispirare per aiutare altre comunità delle aree interne a riconoscere la propria identità, a creare valore da ciò che c’è e da ciò che non c’è, a cambiare prospettiva su sé stessi e i propri vicini, ad attivare connessioni capaci di nutrire la volontà di impegnarsi a mantenere vivo e presidiato un territorio.

L’essere una figura neutrale, esterna alle dinamiche locali, di solito mi dà una posizione più comoda per raccogliere in confidenza ciò che gli abitanti dei territori più fragili pensano ma che non hanno il coraggio di esternare.

Il mio cammino in Toscana

Nell’aprile dell’anno giubilare 2025, durante quel tempo sospeso tra la morte di Papa Francesco I e l’elezione di Papa Leone XIV, sono partita per il mio primo pellegrinaggio a piedi lungo la Via Francigena: 219 km tra Siena e Viterbo, accompagnata dal silenzio del vento, dal battito del mio cuore, dal rumore dei miei passi su tanti terreni differenti, dal ronzio delle api, dal canto del gallo la mattina all’alba, dalle storie dei camminatori che incontravo per strada e da quelle degli abitanti dei vari paesi dove facevo tappa.

In 11 giorni ho alloggiato in tantissime strutture ricettive extralberghiere, dagli ostelli alle foresterie per pellegrini, dagli affittacamere agli agriturismi, dalle case di amici agli alloggi di alberghi diffusi protetti fra le mura di un castello.

Ho iniziato e finito il percorso in città con più di 50.000 abitanti, ma ho fatto tappa in paesi e frazioni in via di spopolamento, come Radicofani e Proceno, e Comuni in crescita come Monteroni d’Arbia e Montefiascone.

L’ospitalità italiana e i cittadini ospitali

Come potrete immaginare ho testato una varietà incredibile di modi di ospitare che mi ha fatto riflettere molto sul significato di “cittadini ospitali”. Prima di tutto ho capito che “ospitali” non si nasce, ma si diventa.

Si può avere un’attitudine individuale ad accogliere, ad avere piacere nel relazionarsi con persone sconosciute e prendersene cura, tuttavia l’”ospitalità” è il risultato di un processo che parte dalla consapevolezza di ciò che desideriamo offrire di noi a chi viaggia.

La consapevolezza di cui parlo parte da quella individuale per allargarsi a quella della comunità in cui si opera: non si può essere oasi accoglienti stando chiusi in una bolla, senza che i propri ospiti non siano influenzati da ciò che vivono mentre cercano di raggiungerti.

‘Territorio che vai, ospitalità che trovi’

Il sentirsi accolti è una condizione generata dalla somma di tutti gli aspetti organizzativi, relazionali, emozionali e pratici che riguardano il viaggio pianificato e dalle aspettative che il viaggiatore si crea prima della partenza. 

Oltre ai “cittadini ospitali” è necessario avere “comunità ospitali” e “territori ospitali”. In poche parole l’ospitalità ha una natura sistemica di cui tutti gli operatori è necessario che prendano consapevolezza, per scegliere come presentarsi, cosa condividere e a chi offrirlo.

Il cammino, infatti, mi ha fatto capire in modo netto e profondo che ogni luogo può rispecchiare i bisogni e i desideri solo di alcune tipologie di viaggiatore: una destinazione strutturata per accogliere camminatori, è diversa da una strutturata per accogliere ciclisti, motociclisti, gruppi che viaggiano in pullman o a cavallo. 

Se una comunità si è organizzata per accogliere una specifica tipologia di ospite lo vedi dai dettagli, da dove si fanno trovare, dai servizi che ti offrono e in quali fasce orarie li mettono a disposizione, dal linguaggio che parlano, dall’esperienza personale che mettono a frutto e tanto altro.

In poche parole essere “cittadini ospitali” è frutto di tante scelte che partono dal decidere chi siamo disposti ad accogliere e perché.

A novembre vi porterò in cammino con me!

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