“Dalla gioia che i suoi ospiti se ne andassero, la padrona esclamò: ‘Ma restate ancora un po’”.
La nota frase mostra l’ambiguità atavica del sentimento dell’ospitare, facilmente esacerbata dall’ambivalenza di risultati che il turismo di massa porta nelle comunità: ricchezza economica e culturale, ma anche forte competizione per le risorse scarse e dunque innalzamento dei prezzi, danni ambientali, degrado, omologazione ecc.

Il turismo di massa e le comunità residenti
Una risposta efficace ai danni che il turismo di massa può provocare passa dal coinvolgimento attivo delle comunità nell’organizzazione e nell’accoglienza del turismo (il Community-based Tourism), su cui già dal 2006 l’Organizzazione Mondiale del Turismo sollecitava Paesi e operatori: una cittadinanza ospitale per l’armonizzazione degli interessi di turisti e stakeholder locali, per una coscienza condivisa di appartenere a un’unica realtà da amare e proteggere, generosa per tutti.
È una riscoperta dell’antico valore dell’accoglienza diffusa in una comunità, che è alle radici della nostra cultura: per il popolo greco l’ospitalità era un naturale e imprescindibile legame di solidarietà e rispetto reciproco tra ospite e ospitante, non semplicemente un gesto di cortesia, ma uno scambio di bene (cibo, alloggio e protezione da parte dell’ospitante, contro un dono che lasciava l’ospite quando andava via), associato alla benevolenza che arrivava dalle divinità.

La cittadinanza ospitale favorisce il miglioramento della comunità
Negli ultimi decenni gli studiosi hanno dedicato molti contributi al tema del Community-based Tourism (CBT): le ricerche evidenziano come la cittadinanza ospitale possa migliorare lo stato economico delle comunità, non solo attraverso processi di sharing economy, ma attraverso una maggiore consapevolezza dei residenti verso l’identità del territorio e le risorse naturali presenti, pertanto impatta positivamente sulla capacità di offrire esperienze turistiche autentiche ed ecosostenibili, volte a preservare ambiente, tradizioni, arte e cultura locale.
Il CBT è dunque una leva fondamentale per lo sviluppo del turismo socialmente responsabile e sostenibile che gli studi mostrano direttamente associato alla cooperazione, al supporto, alla buona volontà ed alla partecipazione dei residenti. La ricerca sottolinea inoltre come molti progetti turistici di sviluppo delle destinazioni, anche quando avviati da importanti istituzioni, presentano un alto rischio di fallimento non solo se la comunità non controlla o supporta la fase successiva all’implementazione, ma anche se non è coinvolta sin dall’inizio nel processo di sviluppo turistico.
È una riscoperta dell’antico valore dell’accoglienza diffusa in una comunità, che è alle radici della nostra cultura: per il popolo greco l’ospitalità era un naturale e imprescindibile legame di solidarietà e rispetto reciproco tra ospite e ospitante, non semplicemente un gesto di cortesia, ma uno scambio di bene (cibo, alloggio e protezione da parte dell’ospitante, contro un dono che lasciava l’ospite quando andava via), associato alla benevolenza che arrivava dalle divinità.

Cittadini ospitali si nasce o si diventa?
In altre parole l’atteggiamento dei residenti verso il turismo, come esaminato in diverse regioni del mondo, deriva dall’empowerment dei cittadini, dalle relazioni di potere e la fiducia percepita da parte dei residenti: una relazione di potere squilibrata nei confronti di chi decide porta a una percezione negativa del turismo da parte dei residenti e a chiusura, a innalzamento di steccati residenti-invasori. Quando invece i residenti locali partecipano alla pianificazione e alla gestione del turismo, mostrano un atteggiamento positivo e supportano lo sviluppo turistico, acquisendo consapevolezza del proprio ruolo di driver della sostenibilità del proprio territorio e di “difensori aperti” della propria “ricchezza”, che mettono a disposizione degli altri.
Ora, cittadini ospitali si nasce o si diventa? Se si fa parte di comunità più aperte, culturalmente più inclusive è un vantaggio, ma non basta. Occorre comprendere cosa chiamano ospitalità i diversi turisti, differenti per età, paesi di origine, stili di vita. Occorre quindi capire chi sono e cosa vogliono i turisti di una comunità, ma anche come conciliare le aspettative con i vincoli e le opportunità del territorio. L’ospitalità è del singolo, ma una comunità ospitale va co-progettata tra pubblico e privato, e c’è bisogno di un modello di comunità partecipata, ma spesso anche guidata e supportata.

È spesso fondamentale, dunque, nelle piccole come nelle grandi destinazioni, che ci siano soggetti che facciano da collante tra tutti gli stakeholder: tra gli operatori, tra questi e i cittadini, tra questi e l’amministrazione, per una co-progettazione di iniziative condivise e per promuovere una cultura dell’ospitalità diffusa e in grado di armonizzazione le attese e gli sforzi di tutti.

