Quasi 17milioni di arrivi e oltre 59milioni di presenze registrati a giugno con una saturazione a settembre superiore alla media del trimestre estivo, e la permanenza media per visitatore di circa 3,5 notti. Queste le stime del Ministero del Turismo, elaborate sui dati Istat, facendo registrare – in generale – un trend con il segno più rispetto all’anno dei record, il 2024, e persino al periodo pre-Covid.
La partita della stagione 2025 dunque, è ancora aperta e i numeri relativi al turismo in Italia per l’anno in corso sono ancora in crescita. Questo significa che – oltre alla bellezza del nostro paese – i viaggiatori trovano sistemazione per ogni tipo di viaggio.
Fonte: MiTur 2025
Il settore extralberghiero, in particolare, è in grado di offrire un’accoglienza personalizzata e local (aspetto rilevante in un contesto globalizzato). Al crescere del numero di viaggiatori cresce anche il numero di strutture (e viceversa), ma corrisponde anche una evoluzione della professionalità? Abbiamo provato a ragionarci su con Genni Ceresani, antropologa e libraia per vocazione, che da 13 anni si occupa di turismo digitale.

Più ospiti più host: evoluzione positiva?
Il trend dunque, è positivo: più crescono gli ospiti, più crescono gli host che curano strutture ricettive nel settore extralberghiero.
“In Italia – ci spiega Genni Ceresani – fatta eccezione per sporadici casi di catene organizzate a livello nazionale, la stragrande maggioranza degli host sono proprietari o gestori di immobili. Se i numeri cambiano in positivo rispetto alla quantità, quello che non è cambiato in questo ultimo decennio, per quello che ho modo di osservare quotidianamente, è l’approccio. La tendenza, ancora oggi, è quella di entrare in questo settore ‘in punta di piedi’, nel senso che inizialmente, chi si accosta al mercato extralberghiero, lo fa avventurandosi, immaginando di poter sperimentare in itinere. Imparare facendo, magari”.
In questo modo, chiediamo, mentre il mondo va avanti, questi host possono restare indietro oppure non afferrare le giuste opportunità? “Credo che in Italia – aggiunge Genni – si sia ancora un po’ resistenti alla tecnologia. La si guarda con sospetto soprattutto se si tratta di intelligenza artificiale, c’è la credenza che possa scippare qualcosa all’essere umano. Il popolo italiano è ancora ignaro delle opportunità vere che la tecnologia offre. Ciò che non si è ancora compreso è che debba essere al nostro servizio, mentre temiamo di esserne succubi. La tecnologia consente, soprattutto all’host che lavora in proprio, di delegare alcuni compiti meccanici e ripetitivi che rischiano di sottrarre tempo alla relazione umana; automatizzati, invece, possono contribuire a rendere un’immagine professionale della struttura, migliorando decisamente la sensibilità dell’host nei confronti dell’ospite”.
Cosa è cambiato in questi ultimi dieci anni?
“Un aspetto che da antropologa ho potuto notare – commenta Genni Ceresani – è senz’altro il sentimento. Ovvero la passione per l’accoglienza, che nel frattempo per molti è diventata un lavoro. Sono in contatto con gli host tutti i giorni e quello che avverto è proprio un sentimento più vivo rispetto al passato. Una spinta autentica nel voler fare bene, migliorare, crescere: ciascuno personalizza la propria offerta, le modalità di approccio, l’immobile, la dotazione, la relazione con il visitatore al fine di vivere al meglio questo viaggio ospitale. Anche perché, personalizzare l’offerta, ti consente anche di migliorare il business”.
Da cosa può dipendere, chiediamo ancora, questa spinta?
“Da una parte ci sono i giovani – illustra Genni – e dall’altra le persone di mezza età. I primi tornano in Italia dopo aver vissuto esperienze all’estero, prevalentemente, mentre gli altri credo siano al giro di boa, a una seconda possibilità della vita. I giovani sono senz’altro caratterizzati da vigore e voglia di sperimentare, ma i cinquantenni imparano ad amare questa attività perché potrebbe rappresentare un traguardo, una conquista personale. In un caso o nell’altro, ci mettono la faccia e questo oggi, fa la differenza. Se prima del Covid la concentrazione era puntata maggiormente sulla misurazione della produttività, sui software da utilizzare, sui dati da analizzare; nell’era post Covid, il fattore umano incide notevolmente. Ecco perché ora ci mettono la faccia”.
“In questo – aggiunge – credo che il Vivere di Turismo Festival, quest’anno in particolare, sia molto attuale e offra un grande contributo per la crescita personale e professionale di chi ha scelto questo lavoro”.
Come saranno i ‘Cittadini ospitali’ del futuro?
“Le persone – sottolinea Genni Ceresani – hanno bisogno di relazioni autentiche, vere, alla pari, senza costruzioni o finzioni o giochi di ruolo; pertanto l’accoglienza turistica dev’essere calda, vera, viva. Il motore dell’Italia sono proprio i piccoli host, che presidiando i territori di appartenenza, ne diventano l’animazione spontanea”.
“Il cittadino ospitale – conclude Genni – è colui che ci mette il cuore in quello che fa e tratta l’ospite con cura autentica. Non solo l’ospite, ma anche il territorio con cui si relaziona”.

