Il futuro dei borghi non può nascere da un atto di abbandono

In questi giorni è stato reso pubblico il nuovo Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne (Psnai 2021–2027), che propone una nuova linea di indirizzo per migliaia di piccoli comuni italiani. Alcuni passaggi, però, sollevano interrogativi importanti sul futuro dei territori più fragili e meno popolati, quelli che spesso custodiscono l’identità profonda del nostro Paese.

Di fronte a un tema tanto delicato, vogliamo dare spazio alla voce di chi conosce da vicino queste realtà. Condividiamo con convinzione la lettera aperta di Ivan Stomeo, ex sindaco di Melpignano e oggi presidente della Fondazione Futurae ETS. Le sue parole esprimono con lucidità e passione ciò in cui crediamo: i borghi e le aree interne non sono luoghi da accompagnare al declino, ma comunità vive da ascoltare, sostenere e rigenerare.

Lo facciamo non solo per affinità di pensiero – Ivan è vicino di casa, e le nostre radici comuni nel Salento ci legano anche nei valori – ma perché questa visione è anche la nostra, come progetto Vivere di Turismo.
Ci auguriamo che questo contributo possa essere l’occasione per aprire un dialogo costruttivo, fondato sull’ascolto e sul rispetto delle storie, delle persone e delle energie che animano i nostri territori.

Di seguito riportiamo il testo integrale della lettera, preceduto dall’articolo che l’ha ispirata:
Aree interne addio, il governo: ‘Declino ormai irreversibile‘” – Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2025

 

La lettera aperta di Ivan Stomeo al Ministro Foti: un appello per le aree interne

“Egregio Ministro Tommaso Foti,
Le scrivo in qualità di ex Sindaco del Comune di Melpignano (LE) e attuale Presidente della Fondazione Futurae ETS. La mia precedente esperienza pluriennale alla guida dell’associazione nazionale Borghi Autentici d’Italia mi ha permesso di conoscere da vicino le reali potenzialità e le urgenti necessità dei territori cosiddetti “minori”.

L’obiettivo primario dell’associazione è sempre stato quello di sostenere quei Comuni che, pur tra mille difficoltà, scelgono ogni giorno di credere e investire nel proprio futuro, a partire dalle comunità locali.

Per questo motivo, leggo con profonda preoccupazione e disaccordo l’obiettivo 4 del decreto del Governo da Lei richiamato, il quale suggerisce che queste aree debbano essere pietosamente “accompagnate in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”.

Una tale dichiarazione equivale a una resa. È l’abbandono definitivo di una delle sfide più impellenti e complesse per il nostro Paese: lo spopolamento, la marginalità dei territori, l’invecchiamento demografico, la perdita di senso dei luoghi e delle identità locali.

Si tratta di una deriva che coinvolge una parte non trascurabile del nostro territorio nazionale e che, se non affrontata, si estenderà anche a quelle aree che oggi ne mostrano solo i primi sintomi. In un’Italia in cui oltre il 70% dei Comuni sono di piccole dimensioni, queste realtà rappresentano l’anima stessa del Paese: la radice del nostro passato e il seme del nostro futuro.

Queste radici non vanno divelte, ma curate e innestate con la modernità. Non servono ricette frettolose o mal copiate, ma un percorso di accompagnamento alla rifioritura, basato sull’ascolto consapevole delle comunità che vivono i borghi e le aree interne e sulla competenza di chi da anni lavora in questi territori, e su una visione di lungo periodo capace di coniugare memoria e innovazione.

Questo è il momento di fare la differenza rispetto a precedenti politiche che, seppur meritorie, hanno finito per calare dall’alto un’azione di estetizzazione omologante della tradizione e dell’idea di vita in questi insediamenti. I nostri borghi devono poter tornare a essere centri vitali, non porzioni marginali da fotografare e dimenticare.

Ciò di cui abbiamo bisogno è coraggio politico e competenza strategica e progettuale, non di un piano di resa incondizionata a un destino già definito come ineluttabile. La soluzione non è “l’accompagnamento a una morte annunciata”, ma esattamente il contrario: trovare nuove e consistenti risorse per i comuni delle aree interne, costruendo politiche fondate su strategie di breve e lungo periodo.

È vero, in questi luoghi oggi abitano poche persone, ma queste comunità, se ascoltate e sostenute, possono rifondarsi come giovani e fruttuose realtà e diventare esempi di rinascita e innovazione. Non rami secchi da tagliare, ma germogli da coltivare.

Per questo La invito, con rispetto ma con fermezza, a rivedere con urgenza il testo del decreto. Non possiamo accettare l’idea di un’Italia a due velocità: città grandi e caotiche da un lato, periferie abbandonate dall’altro.

Pur nella consapevolezza della complessità del contesto internazionale, credo sia necessario riconsiderare le priorità strategiche del nostro Paese: anziché inseguire in modo frettoloso e allarmistico la corsa al riarmo, propongo un investimento consapevole in un vero e proprio “Piano d’Amore” per i piccoli comuni.

Un progetto che coinvolga tutto il Paese, da Nord a Sud e che restituisca dignità, opportunità e futuro a quei milioni di cittadini che oggi popolano i quasi 4.000 territori definiti come aree interne.

Abbiamo bisogno di pianificare la speranza e costruire vere opportunità per quei luoghi che custodiscono la bellezza, l’identità e l’anima dell’Italia. Questo significa investire massicciamente e in modo assennato in queste aree del Paese e quindi garantire infrastrutture moderne, recuperare il patrimonio edilizio e mettere in sicurezza il territorio, rilanciare i servizi di prossimità, incentivare l’imprenditoria locale e sostenere le comunità energetiche, le cooperative di comunità e nuove forme di ospitalità.

Ministro, sono certo che saprà ascoltare questo appello. Si tratta del futuro del nostro Paese.

E il futuro non può nascere da un atto di abbandono.

Con la massima stima,

Ivan Stomeo
Presidente Fondazione Futurae ETS”

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